Le opere e le istallazioni
di Cumbo mostrano come l’ultima generazione plastica operante
in Italia tenga conto simultaneamente di antichi sapori e di attuali
giocosita’ e “arguzie” (nel senso piu’ pregnante
del termine inglese di “Wit”). Sono tuttavia molti anni
(ricordate Volterra 73?) che gli artisti si cimentano col rapporto scultura/ambiente,
in una vettorialita’ al sociale, piuttosto che di decorativismo
e di “arredo urbano”. Molte operazioni artistiche, oggi
sono piu’ problematiche di quelle impegnate degli anni 70. Esse
tendono a sottolineare la lotta che l’individualismo -tipico del
narcisismo dell’artista – deve ingaggiare con le innumerevoli
situazioni di degrado urbano e con drammatiche aporie del sociale. Questo
cimento e’ arduo, perche’, per l’artista impegnato,
e’ facile cadere nelle banali spire dell’arte didattica
e didascalica di aborrita memoria (pensiamo all’imperativo zdanoviano).
A questo proposito c’e’ da sottolineare l’impegno
di Leonardo Cumbo non solo a partecipare, ma anche a organizzare manifestazioni
che abbiano attenzione al territorio, che si svolgono in localita’
famose per l’utilizzo della pietra locale (pietra di Sabucina,
pietra peperino, pietra bianca della Maiella, ecc). inoltre il giovane
scultore non disdegna l’utilizzo dei materiali nobili come il
travertino e il bronzo.
Infatti, la bellissima Scuola di volo (1993, cm.50x35x65), rappresenta
ironicamente un’affettuosa mano che tiene in punta di dita un
delizioso putto di stampo Celliniano.
Un tempo, lo studio accademico della scultura si fondava sull’impegno
acritico del repertorio degli stili storici: oggi l’artista, quando
e’ colto e raffinato, “cita” consapevolmente e –
spesso – ironicamente tutti gli stili dell’antichita’
in un infinito gioco di rimandi e divertimenti spiritosi.
Cosi’ Cumbo, artista sapido e consapevole ci stupisce con l’utilizzo
della splendida pietra arenaria di Sabucina, un tempo usata per le dorate
colonne dei templi della Magna Grecia. Infatti, al 2° simposio di
scultura su pietra di Sabucina, tenutosi a Montedoro (Cl) nel ’95
Cumbo ha presentato una grande manopoggiante su un vasto basamento.
Al culmine del dito indice si avvita metaforicamente una specie di trottola.
Al di la’ dell’immagine giocosa si avverte il sentimento
del tragico della imperitura fragilita’ del destino umano. La
citazione “classica” al piedistallo tipico della scultura
tradizionale si coniuga con l’ironia della grande mano, simbolo
frequente nella tematica plastica dell’artista siciliano.
Il sottile filo dello scarto e del calembour permea tutta l’opera
di Cumbo; questo spirito caustico si trasferisce anche nelle istallazioni,
cariche di suggestioni neo-dadaiste,…costituite da materiali leggeri
e attualissimi e si contrappongono, solamente dal punto di vista dei
materiali, a quelle piu’ nobili dedicate al territorio…
Qui la simbologia preferita da Cumbo e’ tolta dall’universo
del quotidiano. Ad uno sguardo superficiale le sue opere appaiono, per
molti versi, simili al Pop Statunitense (Oldemburg) oppure al Dada-Surrealismo
(MeretOppenheimer). Tuttavia la tensione morale sottesa da un’opera
come Metamorfosi attesta lo scarto generazionale dell’artista
rispetto ai suoi “padri” putativi. L’istallazione
e’ costituita da cinque grandi mele in vetroresina sospese in
una cornice (non manca mai la citazione al “classico”!)
di cm. 398x220. Al fondo simbolici piatti raccolgono le briciole di
un sapere che non si morde mai a fondo in un universo consumistico letale
e infinito. E’ noto che la mela, nella cultura cattolica e mediterranea,
rappresenta il peccato di Adamo che e’ spinto a trasgredire, ma
anche a conoscere. Qui l’ironia nasconde il terribile disagio
di fronte alla sfrontatezza dell’uomo contemporaneo, che con il
suo prometeico dominio, rifiuta di allontanarsi dalle tentazioni maligne,
anzi il grazioso baco che mina la mela si trasforma in una minacciosa
vite, dura e invincibile, tanto quanto l’attuale tecnologia. L’intento
giocoso di porgere allo spettatore elementi incongrui fra loro (meccanismo
tipico delle avanguardie storiche dal Cubismo al Dadaismo) si coniuga
felicemente con l’assunzione di elementi poveristi di scarsa valenza
“culturale” (tipica del Neo-Dadaismo e del Pop Art). La
novita’ e la maestria di Cumbo sta nella consapevolezza che il
gioco non puo’ continuare ad essere fine a se stesso. L’amoralismo
ha risvolti che le masse non sanno assorbire: si rischia troppo a non
aprirsi a sollecitazioni etiche.
Anche l’universo del software, non si sottrae al giudizio severo
e insieme giocoso di Leonardo Cumbo. La frode dell’immagine televisiva
e’ ormai digerita dalle giovani generazioni. La di un universo
desomatizzante e de-somatizzato come quello rappresentato dall’istallazione
Input-Output, non aggiunge nulla al disincanto ironico suggerito ancora
una volta allo spettatore. Il quale, evidentemente, si chiedera’
perche le impronte scolorano man mano che riescono ad uscire dalla gabbia
dominata dall’immagine televisiva. Cumbo non vuole demonizzare
questo importante elettrodomestico. E neppure vuole rifare il vieto
sociologismo che vuole la televisione un mezzo unicamente ipnotizzante:
anzi ricorda ironicamente che le ossa appese alla cornice che racchiude
la rete del ragno intessuta dall’immagine televisiva, sono frammenti
d’identita’ perdute, irrimediabilmente ricostruite in materiale
plastico: i residui dell’identita’ umana non si differenziano
piu’ dalle immagini del tubo catodico. Terminator sara’
il nostro pronipote. Si salvi chi puo’, sembra gridare il nostro
giovane artista. La salvezza potrebbe essere nell’Attrazione gastrica:
dove un grande sorcio e’ attirato da una calamita verso il suo
formaggio, oppure nel casalingo sudario delle difficolta’ del
quotidiano della Sindone, corredata da guanti lavapiatti che lavano
piu’ bianco del bianco (attenti alla reminiscenza dechirichiana
del casalingo guanto). Ma, in un guizzo neo-romantico e anti futuristico,
Cumbo propone di trasformarci in quel magico Pescatore di Luna (1996,
cm.40x80). Allora la fuga diventa un pellegrinaggio intimo e magico,
sommesso e personale, cammino rinfrescante e rifugio per tutti quelli
che sanno trovare la felicita’ nel nostro disastrato “magico
quotidiano”.
Ho gia’ detto altrove che due sono le linee dell’attuale
nuova scultura: una ricalca le orme delle strutture primarie e minimali
del materismo neo-concettuale, l’altra vuole esprimersi in termini
piu’ fastosi, ironici e neo-barocchi. Leonardo Cumbo si trova
felicemente su questo versante e siamo certi che procedera’ con
piglio sicuro e consapevole delle sue scelte stilistiche per questa
ottima strada.